- 10 Dicembre 2021
- Posted by: Cryptovalues
- Category: Cryptovalues News, Fiscale, Istituzionali
In questi giorni sono state presentate in Parlamento tre proposte di disciplina fiscale degli investimenti in criptovalute:
– Proposta di legge n. 3131 d’iniziativa del Deputato Zanichelli;
– Emendamento 13.0.66 alla proposta di legge di bilancio, d’iniziativa dei Senatori Botto, Giannuzzi, Mininno, Ortis, Di Micco, Lannutti, Moronese, Abate, Di Nicola;
– Emendamento 51.0.38 alla proposta di legge di bilancio, d’iniziativa dei Senatori Dell’Olio, Gallicchio.
Le tre proposte sono allineate sui seguenti principi:
- le “valute virtuali” sono un asset class a sé stante, per la quale vengono introdotte regole specifiche, fermo restando che si tratta pur sempre di un asset di natura finanziaria e quindi soggetto a tassazione con imposta sostitutiva ad aliquota fissa 26% (e NON ad aliquote marginali);
- le valute virtuali sono un asset di natura finanziaria “estero” e, pertanto, devono essere indicate nel quadro RW; si stabilisce che debbano essere indicate nel quadro RW al loro costo d’acquisto (e NON al valore di mercato, considerato che manca ad oggi un “mercato regolamentato” di riferimento, perlomeno nell’accezione fiscale proposta dall’Agenzia delle entrate);
- le plusvalenze su valute virtuali sono tassabili solo se effettivamente realizzate (quelle meramente potenziali NON sono mai tassabili);
- le plusvalenze su valute virtuali non sono tuttavia tassabili in capo a piccoli risparmiatori che investono importi modesti; viene infatti previsto che le plusvalenze sono tassabili se, nel periodo d’imposta in cui sono realizzate, il controvalore in euro delle valute virtuali complessivamente possedute dal contribuente, calcolato avendo riguardo per il costo di acquisto, è superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui (si badi bene: calcolato avendo riguardo per il costo di acquisto e non per il loro valore di mercato, il che implica che una persona che avesse investito 10.000 euro non sarebbe mai assoggettata a tassazione, nemmeno qualora cedesse le sue valute virtuali per un corrispettivo di 100.000 euro realizzando un plusvalore di 90.000 euro);
- trattandosi di un asset class a sé stante, si tiene conto delle sue peculiarità, come segue:
- si stabilisce che le plusvalenze su valute virtuali si considerano realizzate solo quando si effettua il pagamento o la conversione in euro o in valute estere, il che significa che:
- le operazioni cripto-to-cripto NON sono tassabili; non vi è infatti capacità contributiva fintanto che non si effettui il pagamento o la conversione di valute virtuali in euro o valute estere;
- NON si applica, alle valute virtuali, la presunzione di realizzo in caso di mero prelievo da un wallet;
- si riconosce che potrebbe in alcuni casi risultare irreperibile la documentazione del costo di acquisto delle valute virtuali (casi di exchange falliti o soggetti ad attachi di hacker, ecc.) e si stabilisce quindi un criterio che permetta comunque di adempiere agli obblighi fiscali:
- il costo di acquisto è determinato, in via presuntiva, avendo riguardo per il cambio utilizzato nell’ultima operazione eseguita dal contribuente in relazione alle medesime valute virtuali o, in assenza, per il cambio rilevato all’inizio del periodo d’imposta da documentazione raccolta a cura del contribuente; questo criterio assume rilevanza per stabilire se il contribuente abbia o meno superato la soglia dei 51.645,69 euro e per stabilire quale costo vada indicato nel quadro RW;
- la plusvalenza eventualmente realizzata (che risulterà tassabile solo in caso di superamento della soglia dei 51.645,69 euro) è determinata, in via presuntiva, in misura pari al 25 per cento dell’ammontare ricevuto in pagamento o in conversione, secondo un criterio già applicato ai metalli preziosi per i casi in cui manchi la documentazione del costo di acquisto;
- si prevede infine, in due delle tre proposte, un meccanismo di rivalutazione delle valute virtuali possedute dietro pagamento di una imposta sostitutiva del 4% del valore di mercato al 30 ottobre 2020 delle valute virtuali del contribuente, da stimare con apposita perizia giurata secondo lo schema già noto della rivalutazione delle partecipazioni non quotate e dei terreni edificabili; purtroppo, senza effetto di sanatoria sugli anni passati.
- si stabilisce che le plusvalenze su valute virtuali si considerano realizzate solo quando si effettua il pagamento o la conversione in euro o in valute estere, il che significa che:
Sfatiamo dunque alcuni malintesi:
- NON è vero che queste proposte comportano la tassazione ad aliquote marginali. La tassazione è prevista ad aliquota flat del 26% e, di conseguenza, le eventuali plusvalenze realizzate su valute virtuali NON concorrono a formare il reddito complessivo e quindi NON incrementano le aliquote marginali applicabili su altri redditi del contribuente;
- NON è vero che queste proposte comportano la tassazione sulle plusvalenze non ancora realizzate. La tassazione si applica solo ed esclusivamente sulle plusvalenze effettivamente realizzate, peraltro solo nel caso in cui siano realizzate pagando o convertendo valute virtuali in valuta fiat tradizionale; cripto-to-cripto e mero prelievo dal wallet non sono tassabili;
- NON è vero che eventuali minusvalenze non sono riconosciute. Le minusvalenze, così come le plusvalenze, sono riconosciute dal fisco quando sono effettivamente realizzate contro euro o altra valuta fiat. Quindi: plusvalenze tassate solo se realizzate, minusvalenze deducibili (e riportabili per cinque anni) solo se realizzate.
Facciamo tre esempi per capire meglio.
Mario acquista nel 2020 la quantità di 2 bitcoin pagandoli 10.000 euro in tutto (5.000 euro/bitcoin). Nel 2020 Mario non fa altre operazioni, di alcun tipo. Cosa deve fare Mario nel 2020, seguendo la linea delle proposte sopra menzionate? Indicare nel suo quadro RW di possedere valute virtuali per un costo di acquisto complessivo di 10.000 euro, e nient’altro. Non conta che oscillazione possa aver avuto bitcoin nel 2020, perché Mario non ha pagato né convertito in euro o in valute virtuali i suoi bitcoin e, quindi, non ha realizzato i plusvalori latenti.
Ipotizziamo che Mario, nel 2021, voglia vendere 1 bitcoin al prezzo di 50.000 euro/bitcoin e realizzare quindi effettivamente una parte del plusvalore fin qui maturato. Su quel bitcoin, Mario calcola la sua plusvalenza realizzata: 50.000 – 5.000 = 45.000 euro. Questa plusvalenza realizzata è tassata? La risposta è no, perché il controvalore in euro delle valute virtuali complessivamente possedute da Mario, calcolato avendo riguardo per il costo di acquisto, è pari a 10.000 euro e quindi è inferiore a 51.645,69 euro. Nel 2021 Mario dovrà quindi indicare, nel suo quadro RW, che le valute virtuali da lui possedute sono passate, avendo riguardo per il costo di acquisto, da un costo complessivo di 10.000 euro ad un costo complessivo di 5.000 euro (quello del bitcoin che non ha venduto).
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Giovanni acquista nel 2020 la quantità di 20 bitcoin pagandoli 100.000 euro in tutto (5.000 euro/bitcoin). Nel 2020 Giovanni non fa altre operazioni, di alcun tipo. Cosa deve fare Giovanni nel 2020, seguendo la linea delle proposte sopra menzionate? Indicare nel suo quadro RW di possedere valute virtuali per un costo di acquisto complessivo di 100.000 euro, e nient’altro. Non conta che oscillazione possa aver avuto bitcoin nel 2020, perché Giovanni non ha pagato né convertito in euro o in valute virtuali i suoi bitcoin e, quindi, non ha realizzato i plusvalori latenti.
Ipotizziamo che Giovanni, nel 2021, voglia vendere 1 bitcoin al prezzo di 50.000 euro/bitcoin e realizzare quindi effettivamente una parte del plusvalore fin qui maturato. Su quel bitcoin, Giovanni calcola la sua plusvalenza realizzata: 50.000 – 5.000 = 45.000 euro. Questa plusvalenza realizzata è tassata? La risposta è sì, perché il controvalore in euro delle valute virtuali complessivamente possedute da Giovanni, calcolato avendo riguardo per il costo di acquisto, è pari a 100.000 euro e quindi è superiore a 51.645,69 euro. Nel 2021 Giovanni dovrà quindi indicare la plusvalenza di 45.000 nella sua dichiarazione (quadro RT) e pagare un’imposta sostitutiva dell’Irpef pari al 26% di quella plusvalenza (11.700 euro) e questo NON avrà alcun effetto sulle sue aliquote Irpef marginali applicabili ad altri redditi. Nel suo quadro RW, poi, Giovanni indicherà che le valute virtuali da lui possedute sono passate, avendo riguardo per il costo di acquisto, da un costo complessivo di 100.000 euro ad un costo complessivo di 95.000 euro (quello dei 19 bitcoin che non ha venduto).
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Piero acquista nel 2020 la quantità di 12 bitcoin pagandoli 60.000 euro in tutto (5.000 euro/bitcoin). Nel 2020 Piero non fa altre operazioni, di alcun tipo. Cosa deve fare Piero nel 2020, seguendo la linea delle proposte sopra menzionate? Indicare nel suo quadro RW di possedere valute virtuali per un costo di acquisto complessivo di 60.000 euro, e nient’altro. Non conta che oscillazione possa aver avuto bitcoin nel 2020, perché Piero non ha pagato né convertito in euro o in valute virtuali i suoi bitcoin e, quindi, non ha realizzato i plusvalori latenti.
Ipotizziamo che Piero, nel 2021, voglia (i) convertire 2 bitcoin in 25 ethereum e (ii) vendere 1 bitcoin al prezzo di 50.000 euro/bitcoin. La mera conversione di 2 bitcoin in 25 ethereum non è tassata, perché le operazioni cripto-to-cripto non danno luogo ad alcun realizzo; Pietro attribuirà, ai 25 ethereum acquisiti, il costo di acquisto che aveva sostenuto per acquistare i 2 bitcoin, cioè 10.000 euro complessivi (in pratica, 400 euro/ethereum) e lo memorizzerà per utilizzarlo in caso di future plusvalenze realizzate. Sul bitcoin convertito in euro, Piero calcola invece la sua plusvalenza realizzata: 50.000 – 5.000 = 45.000 euro. Questa plusvalenza realizzata è tassata? La risposta è sì, perché il controvalore in euro delle valute virtuali complessivamente possedute da Piero, calcolato avendo riguardo per il costo di acquisto, è pari a 60.000 euro e quindi è superiore a 51.645,69 euro. Nel 2021 Piero dovrà quindi indicare la plusvalenza di 45.000 nella sua dichiarazione (quadro RT) e pagare un’imposta sostitutiva dell’Irpef pari al 26% di quella plusvalenza (11.700 euro) e questo NON avrà alcun effetto sulle sue aliquote Irpef marginali applicabili ad altri redditi. Nel suo quadro RW, poi, Piero indicherà che le valute virtuali da lui possedute sono passate, avendo riguardo per il costo di acquisto, da un costo complessivo di 60.000 euro ad un costo complessivo di 55.000 euro (quello dei 9 bitcoin che non ha venduto più quello attribuito ai 25 ethereum acquisiti in cambio di 2 bitcoin).
Le proposte, in questo senso, non sembrano così sfavorevoli agli investitori cripto (pur senza raggiungere i picchi di totale esenzione conosciuti in Portogallo, Svizzera, in taluni casi in Austria e Germania, ecc.) e hanno il merito di tentare un bilanciamento tra (i) esigenze dell’erario di tassare un incremento di ricchezza, pur sempre con l’aliquota flat del 26% tipica della attività finanziarie; e (ii) peculiarità delle valute virtuali e piccoli risparmiatori, evitando di tassare i piccoli investimenti e le operazioni cripto-to-cripto che non manifestano ancora capacità contributiva.
Sembra poi favorevole la possibilità di rivalutare le valute virtuali dietro pagamento di un’imposta sostitutiva del 4%, ma a tale misura andrebbe tuttavia associata, perlomeno, una esimente da sanzioni per i comportamenti pregressi.