Ieri sera è stata rilasciata una risposta su un interpello di un Contribuente che ha operato in criptovalute. Con questo interpello l’AF ha corretto il tiro su talune risposte date in occasione degli interpelli precedenti, inserendo molti principi nuovi.

La domanda dell’Interpellante era abbastanza particolare: un frontaliero che voleva acquistare ORO fisico mediante BTC e chiedeva quale fosse il trattamento fiscale della plusvalenza derivante dall’utilizzo della criptovaluta utilizzata.
La risposta dell’AF, al di la di confermare che usare le criptovalute per acquistare beni o per convertirli in Euro, in Italia sono la medesima cosa, è risultata abbastanza confusa e spesso contraddittoria.

Dalla lettura delle risposte date, confuse poco chiare ed a volte in contraddizione tra loro, appare chiaro che l’AF ha inteso tassare le plusvalenze derivanti dalla compravendita di Criptovalute come fossero attività finanziarie (26%). Tuttavia si premette subito che i principi espressi dall’AF per giungere alla tassazione sono estremamente discutibili e rappresentano la base per (eventuali) ricorsi attivi. In ogni caso saranno oggetto di accese discussioni e polemiche.

L’elemento cardine utilizzato dall’AF per tassare le plusvalenze è basato sulla definizione data di Wallet, che è abbastanza veritiera, tuttavia, stravolgendo il principio della norma (stravolgendo gravemente aggiungerei), essa considera il wallet un deposito bancario e come tale, giunge alla conclusione di introdurre ed applicare pedissequamente tutta la normativa dei prelievi da depositi bancari di cui all’art. 67, comma 1, lettera – cter del TUIR.
Sulla base di tale “forzatura” dunque viene stabilito il discrimine dei 51.645,69 Euro di giacenza media, al di sotto della quale non vi sono plusvalenze da tassare.

Wallet. Concetto di deposito e perequazione con altri investimenti simili
Innanzitutto la realtà ingegneristica della Blockchain stabilisce in maniera chiara ed incontrovertibile che il Wallet non “contiene nulla” ma è semplicemente un “lettore informatico” della Blockchain. È il mezzo cioè per “leggere” la Blockchain ed avere indietro le istruzioni su un determinato BTC (numeri di serie, possessore, quantità eccetera).
Sulla base di tale assunto il concetto secondo il quale il Wallet sia paragonabile ad un deposito ex art. 67 1 C. let c-ter, non regge per niente.
Ma volendo per un momento provare a paragonare il Wallet ad uno “pseudo deposito”, la normativa fiscale del “deposito” ex art. 76 c-ter non regge comunque.
Ancorché la Legge appena citata parla di “depositi” e conti correnti, ai fini della individuazione normativa , la Dottrina definisce come “depositi” ogni forma di “conservazione” che viene attuata per tramite di strumenti che integrano la raccolta di risparmio.
Non a caso le carte di debito (emesse dagli IMEL) non integrano la raccolta del risparmio (no interessi, no credito, nessun collegamento con il conto corrente come il bancomat) e pertanto, come tali, non integrando un deposito bancario, non sono soggette alle imposte del bollo sui conti bancari e dunque fiscalmente non sono considerati depositi bancari.
In buona sostanza le IMEL (carte prepagate o di debito), ed anche le IMEL in valuta, sfuggono dunque alla giacenza in argomento (c.d. >51/7) perché non sono depositi (di natura totalmente bancaria) secondo la definizione tradizionale.
Sulla base di tali affermazione, per quali ragioni i Wallet dei BTC devono invece essere considerati alla stregua dei depositi??. Essi non sono nemmeno IMEL; essi pertanto non sono creati da Istituti autorizzati ad emettere IMEL, ma sono stati creati da comuni ingegneri informatici che, come per le app che si trovano sul proprio smartphone, sono stati messi a disposizione sulle piattaforme Web in maniera assolutamente libera e senza controllo. I wallet dunque rappresentano una modalità di conservazione di una funzione matematica, senza controllo ne regolamentazione.
Inoltre, vi è da considerare che i “puristi” direbbero che i Wallet non sono nemmeno dei “depositi” ma dei lettori di Blokchain che come tali stabiliscono a chi appartiene quel determinato Bitcoin.

Inoltre: se dunque i Wallet elettronici fossero considerabili “depositi” allora per rigore logico, qualsiasi altro mezzo di conservazione diverrebbe “deposito”; anche dunque, il vecchio portafoglio personale in pelle contenuto nella tasca della giacca (in inglese wallet) sarebbe un perfetto deposito.
Pertanto, secondo questo ragionamento, per dell’ADE, detenere dollari per >51/7 nel wallet elettronico o nel proprio portafoglio od in qualsiasi altro supporto fisico/informatico “generalista” sarebbe comunque ed in ogni caso tassato perché un deposito è un “deposito” in qualunque forma esso sia.

Sappiamo tutti che la norma del 67 c-ter avuto lo scopo di eliminare la presunzione di speculazione per tutte le giacenze fuori dai depositi bancari, proprio perché è impossibile accertare le giacenze nei vari portafogli personali. Per tali ragioni le “operazioni a pronti” sono escluse. Ovviamente Tutte e nessuna esclusa. Comprese ovviamente le operazioni a pronti fatte nei wallet elettronici, ancorchè non esistevano al momento della creazione della norma.
Nonostante la crisi, capita sovente che vi siano turisti extracomunitari (russi ed arabi) che girano per i negozi del Quadrilatero della Moda a Milano con Dollari per 100.000 o 150.000 Euro nei propri portafogli e li spendono tutti in una mezza mattinata.
Costoro non subiscono alcuna tassazione, quando li spendono/estraggono perché la norma del 67 c-ter è studiata proprio per evitare di definire il loro portafoglio o la loro borsetta un “deposito”.

Pertanto, è sempre stato possibile detenere valuta in carta moneta nel portafoglio, nella borsetta ed anche nelle proprie casseforti (private di casa o cassette bancarie), senza che ciò determini un motivo di tassazione.
Estremizzando ancora, anche le cassaforte di casa o dell’albergo, rappresentano un mezzo per custodire attività finanziarie ma non per questo sono considerati “depositi”. La Norma, anche in questo caso, non definisce queste forme di custodia depositi nel senso “bancario” del termine e dunque mai nessuno ha pensato di assimilarli a Deopositi/wallet per tassare gli incrementi di valore della valuta in essi contenuti.

Pertanto per quale ragione il wallet elettronico è differente da tali ultimi esempi? Solo perché assomiglia ad un conto corrente?, Anche la carta prepagata (IMEL) assomiglia ad un conto corrente, ma per ammissione della stessa ADE (Cir. 11/05.2013 n. 15/E pagina 9) le prepagate ed i conto deoposito NON sono conti correnti.

Maurizio Dattilo e Stefania Barsalini