- 3 Settembre 2019
- Posted by: Curatore
- Category: Cryptovalues News, Fiscale
La Dna lancia sulle criptovalute l’allarme riciclaggio
La Dna, direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, nella relazione annuale da poco pubblicata, lancia sulle criptovalute un allarme senza precedenti.
La Procura nazionale guidata da Federico Cafiero De Raho racconta nei dettagli i rischi di “un utilizzo massiccio” da parte delle organizzazioni criminali in genere, dei terroristi ed anche degli evasori, per condurre i loro affari, ripulire e successivamente rimettere in circolo denaro sporco, sottraendosi ad ogni genere di controllo.
La Dna avverte:
“Gli scambi diretti tra utenti continueranno a permanere non presidiati anche in prospettiva” e le modalità di queste operazioni sono più d’una.
Di conseguenza le indagini rischiano di essere fatte con armi spuntate: ci sono oggettive “difficoltà” per la “complessa acquisizione di prove” senza contare la “concreta sequestrabilità” delle somme illecite.
La risposta non può che essere una regolamentazione antiriciclaggio efficace e condivisa a livello internazionale. Purtroppo è esattamente quello che non siamo riusciti a fare di fronte alla crescita dei giganti di Internet.
In buona sostanza la Dna sostiene che il settore della malavita e del terrorismo, nelle operazioni criminali, scambiano sempre più frequentemente partite di valori (denaro in poche parole) per tramite delle reti informatiche o più semplicemente scambiando chiavette USB contenenti le chiavi private di un Wallet gonfio di bitcoin.
Sicuramente stiamo assistendo ad una svolta epocale della dematerializzazione totale della fisicità delle banconote in tutti i settori, e quello criminale non fa eccezione.
In tale contesto, in uno scambio illecito, l’elemento oramai assente è la valigetta colma di banconote. Si arriverà a vedere nelle scene girate per i films di azione, la presenza di una chiavetta USB (sicuramente poco “teatrale” rispetto alla classica 24 ore).
I lettori di una certa età ricorderanno che ai tempi di Tangentopli, in una delle innumerevoli notizie che circolavano, vi era quella sulla “conta fisica” del vecchio miliardo di Lire. In pratica, vista la mole di banconote di piccolo taglio che componeva un “miliardo” di Lire, molto spesso, per fare presto, esse venivano “pesate” e non contate. Preistoria.
Ancora prima di questo allarme, la Guardia di Finanza nella circolare n.01/2018, aveva già denunciato il rischio antiriciclaggio, relativo alla possibilità che l’investitore utilizzi la valuta virtuale per svolgere attività illecita, sfruttando l’assenza dei controlli da parte delle autorità sulle contrattazioni in moneta virtuale; in tale Circolare, tra l’altro, si precisa quanto segue:
“Si considerino, ulteriormente, ipotesi di accredito sui rapporti intestati al contribuente di somme rinvenienti da entità giuridiche le quali gestiscano piattaforme informatiche che convertano moneta avente corso legale in valuta virtuale o criptovalute, talora utilizzate, ad esempio, dagli interessati, per giochi on line. Orbene, particolare attenzione va riposta a tali operazioni di accredito, tenuto anche conto che i passaggi/gli scambi di criptovalute (es. bitcoin) tra soggetti non sono censiti, investendo un mercato totalmente non ufficiale: in astratto, infatti, un contribuente potrebbe cedere merce in evasione di imposta ad un terzo, ricevendone il pagamento tramite valuta virtuale, che egli potrà aver cura di convertire in moneta legale solo successivamente, per poi dichiarare ai verificatori – in sede di eventuale, successiva attività ispettiva – che tali somme rinvengano da vincite da gioco su piattaforme on line”.
Tuttavia sia la GdF che la Dna, nel lanciare l’allarme, non citano gli innumerevoli strumenti di controllo ed i presidi attualmente funzionanti sul territorio nazionale (e volendo anche europeo nella maggior parte dei paesi aderenti all’Unione) per il controllo del riciclaggio od autoriciclaggio.
In paesi come l’Italia scambiare masse fisiche di denaro (criminalità od evasione è uguale) tutto sommato è ancora teoricamente possibile.
Tuttavia, grazie a questi presidi di controllo, prelevare od immettere valuta nei conti correnti bancari (od altro deposito equipollente) è praticamente impossibile.
Procedere ad un deposito od un prelievo “anomalo” in contanti, eseguito in banca, nel volgere di qualche mese, farebbe scattare una serie di controlli da parte della GdF o della Procura. Pertanto alla fine dei conti, le organizzazioni criminali, anche nel caso dei Bitcoin farebbero come per il contante fisico: scambiano ma non depositano mai in banca (almeno in Europa), solo che lo scambio avviene più facilmente.
Infine si evidenzia che nei Paesi dove è permesso utilizzare tanto contante, sicuramente fuori dall’Europa, e sempre meno anche nei Paesi una volta “non collaborativi” come Svizzera Montecarlo Panama eccetera, le organizzazioni criminali trovano il loro naturale punto di approdo del contante (o del bitcoin), con l’ausilio ovviamente di banche compiacenti. In ogni caso, si osserva, che tutto questo denaro non potrà essere usato nei circuiti europei per i motivi di cui sopra.
Sul tema squisitamente dell’evasione fiscale, dove l’evasore non è un impavido criminale incallito, tutti questi sistemi descritti hanno funzionato alla perfezione, limitando l’uso del denaro: prima al momento dell’immagazzinamento (Banca) e poi all’uso (segnalazione degli acquisti sopra i 3.000 Euro).
In pratica un Evasore deve tenere il denaro nel materasso e può spendere solo 3.000 in contanti alla volta (del tipo “spesa al supermercato); egli non può più acquistare dunque abitazioni, auto, barche, gioielli eccetera, perché sarebbero prontamente segnalati. Allora che senso ha evadere?
ANTIRICICLAGGIO E CRIPTOVALUTE
Tornando al tema dell’antiriciclaggio e l’uso delle criptovalute, il primo presidio di controllo dell’attività illecita è rappresentato sicuramente dai cambia valute virtuali. L’attenzione si pone infatti sugli Exchange Company, ovvero gli operatori di mercato che permettono lo scambio tra valuta virtuale e valuta fiat. In buona sostanza gli Exchange Company, ancora prima di immettere denaro nel sistema bancario tradizionale, operano (o dovrebbero operare) una serie di presidi atti a scongiurare l’uso illecito della valuta virtuale. Successivamente sarà il presidio bancario a fare il resto, al momento del bonifico ricevuto od inviato da/per gli Exchange.
Tuttavia, come esistono banche compiacenti in Paesi compiacenti, esistono Exchange Company compiacenti che attuano controlli molto superficiali. Sul tema si osserva che comunque gli Exchange europei adottano politiche antiriciclaggio molto stringenti, in quanto detengono tutte le informazioni relative agli strumenti di pagamento tracciati (bonifico, carta di credito, IMEL, ecc…) e collaborano con le autorità.
In particolare in Italia il legislatore, ha deciso di adeguare la normativa antiriciclaggio (D. Lgs. N.231/2007) applicandola anche ai prestatori di servizi utilizzanti le criptovalute.
Il nuovo testo normativo definisce la
“valuta virtuale: la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
Viene, inoltre, data la definizione di
“prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale: ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale”
I prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale sono obbligati all’iscrizione ad una sezione speciale dell’OAM (Organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi). Tale iscrizione comporta obblighi specifichi di antiriciclaggio, come l’adeguata verifica della clientela e l’individuazione del titolare effettivo.
Il Contribuente Virtuoso
Risulta importante, ai fini dell’accertamento fiscale, condurre dunque un’attività di investimento in criptovalute assolutamente “virtuosa”; il possessore di criptovaluta, per stare nella tranquillità accertativa, deve dunque conservare tutta la documentazione inerente alle transazioni effettuate. Si ricorda infatti che l’Agenzia delle Entrate deve tener conto delle prove documentali.
Nel caso di vincita al lotto, ad esempio, non è sufficiente esibire le ricevute delle giocate, ma è anche necessario allegare la ricevuta del versamento sul conto delle somme incassate.
Analogamente, per le criptovalute, non basterà indicare che l’incasso deriva dall’investimento effettuato, ma occorrerà conservare prima e presentare poi il massimo dei dettagli di tutte le transazioni effettuate. Non a caso la Blockchain tiene in memoria tutte le transazioni ed è possibile dunque operare i controlli: basta avere i mezzi informatici.
Nonostante tutto, l’intera economia delle criptovalute va avanti e i traders continuano a generare utili. Anche in Italia si rilevano molti neo-milionari che hanno puntato sull’incremento di valore della valuta virtuale. Tuttavia molti di questi contribuenti, in un contesto di estrema incertezza normativa sia fiscale che di antiriciclaggio, sono rimasti “investiti” in moneta virtuale per semplice paura.
La spesa Virtuale
Nelle more di risolvere questi problemi, molti si chiedono se sia possibile, spendere direttamente bitcoin acquistando beni e servizi, senza passare da una preventiva conversione in Euro.
A tutt’oggi in Italia sono veramente pochi i Soggetti economici disposti ad accettare criptovaluta in luogo degli Euro.
La notizia che ha fatto più scalpore è stata una compravendita immobiliare operata da un Soggetto persona fisica (di origine cinese) per acquistare un’abitazione a Torino, spendendo Bitcoin. Sempre nel settore immobiliare, risulta che a Roma una società di costruzioni edili ha messo in pratica delle vendite immobiliari. In questo caso il Costruttore di Roma (Barletta Costruzioni srl) ha espressamente pubblicizzato la vendita degli appartamenti con la possibilità di pagare il prezzo in bitcoin, rendendo dunque la vendita più attraente per i Traders che hanno bitcoin in surplus.
Ma com’è possibile operare una compravendita, con tanto di notaio, senza utilizzare la moneta corrente? Le norme attuali permettono un tale negozio? Giova subito anticipare che l’utilizzo della moneta in corso d’uso (l’Euro) nella compravendita ha effetto liberatorio, libera cioè il debitore da qualsiasi rivalsa, mentre ciò non si può dire della valuta virtuale (non ancora), in quanto non è considerata valuta a tutti gli effetti. Sulla base di tale osservazione pertanto la forma giuridica che più si adatta alla fattispecie, che possa replicare un effetto liberatorio, è il baratto (o permuta) di beni.
Per quanto riguarda le descritte vendite immobiliari in cambio di bitcoin, risulta dunque che il notaio rogante non ha “liberato” la Parte acquirente dall’obbligazione di pagare, in quanto in atto è stato affermato che il pagamento sarebbe avvenuto in un momento successivo, senza specificare le modalità ma solo i tempi.
In tal modo si è permesso alle parti di “trasformare” la compravendita in un “baratto” vero e proprio dove una delle due attività barattate è rappresentato da un wallet pieno di bitcoin sonanti, e utilizzando così lo strumento giuridico della datio in solutum (prestazione in luogo dell’adempimento) prevista dal codice civile all’art. 1197.
Se dal punto di vista pratico la questione sembra risolta brillantemente, da un punto di vista giuridico non lo è affatto. Occorre tenere presente che l’articolo 49 del D.lgs. n. 231/2007, vieta il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in Euro od in valuta estera, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente superiore ad Euro 3.000.
Nel caso delle valute virtuali, tuttavia, essendo queste ancora non di chiara collocazione nello scenario economico, sfuggirebbero parzialmente (il condizionale è d’obbligo) alle limitazioni di cui all’art. 49, nel momento in cui la valuta virtuale fosse interpretata come un bene e non come una moneta con tutti gli effetti liberatori che una comune moneta ha. Infatti attualmente la definizione corrente, definisce la valuta virtuale come
“la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica e non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale; essa è utilizzata come mezzo di scambio (n.d.r. baratto) per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
Pertanto, nel momento in cui si operasse un baratto bene/bitcoin, il cedente opererebbe uno “scambio” del proprio bene immobile con un equivalente bene (il Bitcoin) rappresentativo di un determinato valore ed evitando di incorrere nelle limitazioni del citato art. 49.
Chiaramente la volontà di attuare un “baratto” deve essere condivisa da entrambi gli operatori della transazione, proprio in considerazione dello scenario legislativo poco chiaro. Le parti devono essere completamente edotte che una simile transazione è comunque censita (registro immobiliare o spesometro) e pertanto si devono preparare ad un sicuro e celere controllo da parte delle autorità accertative. In questi casi un’adeguata predisposizione della documentazione è alla base di una difesa ottimale ed efficiente.
Ma allora com’è possibile poter procedere alla vendita incassando bitcoin, pur vivendo sereno al riparo di qualsivoglia forma di accertamento basato sulle norme dell’antiriciclaggio?
La soluzione è semplice è in attività nello scenario italiano una società che unisce il Mondo “virtuale” dei possessori di criptovalute con il Mondo reale di tutti gli esercenti desiderosi di ampliare il loro parco clienti.
In pratica la società Tinkl.it SRL permette al venditore di incassare Euro e contemporaneamente permette alla parte acquirente di utilizzare i propri bitcoin. In tal modo la compravendita è avvenuta nel solco della attuale normativa senza forzature od interpretazioni pindariche della moneta virtuale.
Ma come funziona questa procedura? In pratica Tinkl.it, che è una partecipata del più importante cambiavalute virtuale italiano The Rock Trading srl, appoggiandosi proprio alle collaudate procedure previste dai cambiavalute virtuali, apre una posizione di “scambio” Euro/btc tra acquirente e venditore, facendo coincidere la domanda e l’offerta delle due monete. Tinkl.it, dietro compenso, verifica preventivamente la bontà della fattura e del negozio sottostante e se tutto è in regola procede allo scambio.
L’idea non è originale ma è stata adattata appositamente per l’Italia dove vi sono norme stringenti sull’uso del denaro nelle transazioni economiche. Effettivamente l’idea proviene dagli USA, infatti la prima società ad investire e migliorare tale settore è stata la Bitpay, società con sede in Atlanta (USA) nata con lo scopo di agevolare il rapporto venditori/acquirente. Bitpay permette infatti al venditore di ricevere moneta fiat e all’acquirente di pagare tramite Bitcoin, attraverso la conversione automatica della valuta virtuale.
Ad oggi si può affermare che la Bitpay sia leader nel mercato, infatti fondata nel 2011, oggi è la piattaforma più utilizzata per tale tipologia di servizi ed è stata più volte paragonata a Paypal. In merito a tale settore di mercato non si può non citare Coinbase, exchange per eccellenza che ha saputo diversificare la propria attività fornendo anche il servizio di “baratto” tra Bitcoin e Moneta Fiat. Infatti attraverso Coinbase è possibile non solo acquistare bitcoin, ma anche scambiarli con valuta locale, ricevere pagamenti in bitcoin ricevendo moneta fiat e pagare fatture.
In definitiva Tinkl.it, basandosi sulle esperienze estere ed adattandole alle normative italiane in tema di antiriciclaggio, ha messo a punto un modello di business che potesse rispondere sia alle esigenze di spesa sotto la soglia dei 3.000 Euro (art. 49) sia e soprattutto per permettere di spendere serenamente i propri bitcoin operando acquisti di valore consistente.
Infatti tale operazione avviene dopo che Tinkl.it ha eseguito una adeguata verifica delle due parti in gioco e dopo la presentazione, sui sistemi Tinkl.it della fattura che certifica la veridicità della transazione in corso.
In tal modo Tinkl.it opera una transazione compliant sul piano delle norme antiriciclaggio descritte, permettendo transazioni di importo superiore ad Euro 3.000.