- 30 October 2018
- Posted by: Cryptovalues
- Category: Cryptovalues News, Fiscal
Nonostante le enormi problematiche che accompagnano le criptovalute, si può affermare che l’equiparazione della criptovaluta alla valuta tradizionale da parte della stessa Unione Europea, è un elemento di forza per la stessa esistenza economica della Medesima. Pur con molteplici problematiche dunque esse sono entrate nello scenario dei possibili investimenti dei risparmiatori domestici.
I problemi interpretativi persistono tuttavia su vari livelli: vi sono dubbi, sul tema dell’antiriciclaggio, sulla adeguata verifica della provenienza dei fondi, sulla ricostruibilità delle transazioni e non ultimo sul trattamento fiscale delle plusvalenze derivanti dalle negoziazioni e conseguentemente dalla funzione accertatrice dell’Agenzia, che attualmente appare impotente.
Sul tema fiscale, il più sentito da tutti gli investitori, si assiste da mesi ad una interpretazione eccezionalmente “forzata” dei wallet e delle giacenze in criptovalute nei vari Exchange company: essi sono paragonati ai depositi in valuta, indipendentemente dal fatto che siano gestiti direttamente dal privato investitore, nel caso dei wallet o da intermediari nel caso degli Exchange. Di conseguenza le eventuali plusvalenze risulterebbero tassabili, una volta superati i limiti quantitativi e temporali previsti da una norma presa in prestito. Di contro un deposito di valuta reale detenuto, ad esempio, in una cassetta di sicurezza non viene in alcun modo tassato al momento del prelievo.
Quadro RW – la scadenza di ottobre
A latere di questi problemi ed incertezze sostanziali, senza il superamento dei quali appare difficile spendere liberamente le valute virtuali, vi è poi una problematica meno “sostanziale” ma dalle conseguenze sanzionatorie importanti e con una scadenza molto prossima: il c.d. Monitoraggio Fiscale da eseguirsi mediante la compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi da spedire a fine mese di Ottobre.
Nell’analisi della propria posizione reddituale, può accadere che l’investitore in criptovalute si trovi nella posizione di non dover pagare alcun tributo, per effetto dell’applicazione della norma sulle giacenze di valuta estera, ma nonostante tutto Egli è comunque obbligato al monitoraggio fiscale.
La presenza infatti di un saldo globale in criptovaluta superiore ad Euro 15.000 rende il contribuente obbligato alla compilazione del quadro RW.
Ciò è quanto si legge nelle risposte (tutte uguali) rese dall’ADE ai Contribuenti che hanno presentato un interpello sulla materia.
Le ragioni di tali prese di posizione sono ovvie: l’Amministrazione vuole censire il fenomeno, tuttavia siamo tutti consci che anche in questo caso l’ADE prende a prestito le norme da altri ambiti e le interpreta a suo specifico gradimento.
In buona sostanza l’ADE impone il monitoraggio fiscale perché definisce le Criptovalute come “attività finanziarie estere” detenute all’estero. Ma le criptovalute sono effettivamente attività finanziarie di natura estera?
Sul tema purtroppo non è possibile affermare univocamente che le valute in argomento siano “valute estere” ed effettivamente depositate in qualche Paese estero ben identificato, ma tra l’altro non è nemmeno corretto affermare che queste attività finanziarie virtuali sono depositate apparentemente nei propri wallet fisici (smartphone, pc) e pertanto detenute in Italia, solo perché l’apparato che li custodisce accompagna fisicamente l’investitore residente. Infatti il wallet è semplicemente un programma di lettura del mondo virtuale; con l’apparato fisico, l’investitore è in grado dunque di leggere e gestire la blockchain, che a sua volta custodisce i suoi Bitcoin.
È possibile dunque arrivare alla conclusione che, per come è strutturata la catena dei validatori delle criptovalute, la già citata Blockchain, il wallet in argomento non può essere collocato con certezza in Italia, nell’apparato personale dell’investitore, ma non è possibile nemmeno collocarlo in un altro Paese specifico o meglio in un solo unico Paese, in quanto il wallet e di fatto online presso tutti i componenti la blockchain, che sono dislocati mondialmente in tanti paesi, mai uno solo.
Inoltre è palese che la definizione di valuta estera mal si accomuna alla valuta virtuale.
Non si è mai arrivati a definire i contorni della locuzione “valuta estera” rapportata ad una realtà del tutto nuova rappresentata dal mondo virtuale.
Una valuta estera significa una moneta emessa da uno stato sovrano diverso da quello di residenza, avente una funzione liberatrice del negozio giuridico.
Pertanto per un residente in Italia, sono valute estere tutte le valute differenti dall’Euro, emesse da uno stato Sovrano, come ad esempio il Franco Svizzero, emesso dalla Confederazione Elvetica o la Sterlina se emessa dall’Inghilterra.
Il Bitcoin, od altra valuta virtuale, non ha nulla di tutto questo: non ha alcun paese sovrano o Banca centrale e non ha una funzione liberatrice della transazione con le medesime caratteristiche della moneta tradizionale.
Da queste due semplici premesse è chiaro che la collocazione delle criptovalute tra le attività finanziarie estere, o detenute all’estero diviene una operazione estremamente difficile. Per sua natura la criptovaluta sfugge dunque a tutte le catalogazioni specie nell’ambito del monitoraggio fiscale.
Tali premesse rivestono un carattere di massima importanza, in quanto, come già detto in precedenza, il set normativo attualmente in vigore è stato studiato per una realtà in cui non esistevano le criptovalute. Allo stato attuale, dunque, è necessario interpretare con delicatezza le suddette normative ed adattarle, ove possibile, a tale Mondo, ma rispettandone le peculiarità che solo le criptovalute possiedono. Probabilmente non si riuscirà ad ottenere comunque un risultato soddisfacente.
Nonostante tutto, l’ADE nelle sue risposte ha utilizzato la strada interpretativa “semplicistica” secondo la quale la detenzione di criptovalute è uguale alla detenzione di attività estere e come tale è soggetto all’obbligo del monitoraggio fiscale. Infatti l’interpello a tale proposito stabilisce:
<<Il medesimo obbligo è previsto, come chiarito dalla circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E (paragrafo 1.3.1.), anche per le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti. Poiché alle valute virtuali si rendono applicabili i principi generali che regolano la fiscalità delle operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio, si ritiene che anche le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il citato quadro RW, indicando alla colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 — “Altre attività estere di natura finanziaria”>>.
Seguendo tuttavia queste astrusità interpretative, in ogni caso arriviamo a dimostrare quanto sia lontana la corretta interpretazione della norma e soprattutto si dimostra la erroneità dell’interpretazione dell’ADE.
Infatti volendo seguire le istruzioni di compilazione del Quadro RW e volendo a tutti i costi mettere le giacenze di moneta virtuale nel suddetto quadro, ci accorgiamo, utilizzando i programmi ministeriali, che nonostante l’ADE sia stata apparentemente precisa nel dare le indicazioni, la compilazione del quadro non è assolutamente fattibile ed i programmi di redazione delle dichiarazioni BLOCCANO assolutamente la redazione degli stessi.
Leggendo le istruzioni al modello ministeriale, il Contribuente virtuoso ha infatti a disposizione dei campi nel quadro RW dove indicare tra l’altro:
- il genere di investimento (Altre attività estere di natura finanziaria),
- l’ammontare in Euro delle suddette attività, valorizzate a fine anno
- i giorni di possesso
- il reddito (eventualmente) prodotto
- il Paese estero di riferimento
Tuttavia nella lettura delle istruzioni ci si rende conto che mancano tutti i riferimenti alla valuta virtuale. Inoltre anche nel Programma ministeriale e nel programmi di verifica ci si accorge che non esiste alcuna indicazione del paese estero di riferimento della valuta virtuale.
Proprio per questa ultima mancanza, tutta la redazione del quadro fa sì che il programma ministeriale si blocchi definitivamente, gettando il redattore nel più assoluto sconforto.
In definitiva, attualmente non può esistere dunque un Paese estero per una valuta virtuale, la cui emissione e gestione è demandata ad una Blockchain diffusamente ripartita in tutto il Globo.
Pertanto il dubbio che l’ADE abbia mal interpretato la norma vigente emerge in tutta la sua evidenza.
Posto che l’ADE a tutt’oggi non ha rilasciato il codice del paese “estero virtuale” per la detenzione di criptovaluta e posto che senza tale indicazione i programmi delle dichiarazioni non accettano la compilazione e conseguentemente non inviano la dichiarazione, allora cosa può inventarsi il trader in crypto assolutamente virtuoso che vuole essere compliant con l’ADE? Egli ha due opzioni:
-
non fare nulla (non dichiarare nulla nel quadro RW)
-
indicare come paese l’Italia
-
indicare nel quadro RW un paese a caso
Nel caso sub 1 costui, a seguito di un successivo controllo, potrebbe incorrere in una sanzione per la mancata segnalazione del monitoraggio, compresa tra un minimo del 3% ad un massimo del 10% da applicare alle somme non indicate (e sono tanti soldi per un adempimento semplice e non costoso).
Nel caso sub 2, risulta che il Programma ministeriale si blocchi inesorabilmente, non accettando l’Italia come paese estero.
Nel caso sub 3, si tratterebbe di aggirare il blocco del programma ministeriale, immettendo un Paese estero “a caso” preso dalla lista presente nelle istruzioni, sapendo che successivamente si dovrà spiegare il perché della scelta.
In tale evenienza si è pensato di individuare un Paese esistente nella lista delle istruzioni che faccia comprendere all’AF la volontà dichiarativa del contribuente, ma anche l’impossibilità di dichiarare la Nazione corretta (che non esiste infatti).
La scelta iniziale sarebbe caduta sull’Antartide in quanto è un Paese Estero assolutamente privo di governo, apolide e palesemente privo di banche, fiduciarie e qualsiasi struttura che possa detenere bitcoin. Tuttavia, nonostante nella tabella dei paesi esteri delle istruzioni, l’Antartide è indicato come “Paese codice 200”, risulta che questo codice non sia funzionante nel programma delle dichiarazioni. In mancanza dell’Antartide, che appariva perfetto per gli scopi dichiarativi, risulta procedibile e sufficientemente adatto allo scopo la Groenlandia. Questo Paese estero (codice 180) è, al pari dell’Antartide, sempre desolato, assolve la funzione di far nascere un segnale nell’esaminatore dell’ADE e tutto sommato fa freddo quasi come l’Antartide.
- Per quanto riguarda gli obblighi di monitoraggio fiscale, si fa presente che il citato decreto legislativo n. 90 del 2017, oltre a definire la valuta virtuale, ha tra l’altro modificato alcune disposizioni relative al monitoraggio fiscale di cui al decreto legge 28 giugno 1990, n. 167 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227 e successive modificazioni).
- In particolare, sono stati estesi gli obblighi di monitoraggio fiscale, ordinariamente previsti per gli intermediari bancari e finanziari, altresì ai soggetti (C.d. “operatori non finanziari”) che intervengono, anche attraverso movimentazione di “conti”, nei trasferimenti da o verso l’estero di mezzi di pagamento effettuate anche in valuta virtuale, di importo pari o superiore a 15.000 euro.
- Ai sensi dell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990, inoltre, è previsto l’obbligo di compilazione del quadro RW della Modello Redditi – Persone Fisiche, da parte delle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, tra le quali le valute estere.
- Il medesimo obbligo è previsto, come chiarito dalla circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E (paragrafo 1.3.1.), anche per le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti.
- Poiché alle valute virtuali si rendono applicabili i principi generali che regolano la fiscalità delle operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio, si ritiene che anche le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso il citato quadro RW, indicando alla colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 — “Altre attività estere di natura finanziaria”.
- Il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale. Negli anni successivi, il contribuente dovrà indicare il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso d’anno.
- Alle valute virtuali, invece, non si applica l’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (C.d. IVAFE, istituita dall’articolo 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni), in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura “bancaria” (cfr. circolare 2 luglio 2012, n. 28/E).
Devono essere indicati nel quadro RW se sono suscettibili di produrre redditi di fonte estera imponibili in Italia. Per stabilire se il reddito da essi generato è di fonte estera si possono utilizzare i criteri individuate dalla circolare 207/E/1999. Il criterio territoriale si desume dal luogo di residenza fiscale del soggetto nei confronti del quale è esercitabile il diritto contrattuale. Tale luogo coincide con il domicilio fiscale del soggetto che corrisponde il reddito se il contratto non è negoziato nei mercati regolamentati. Per i contratti negoziati in mercati regolamentati, invece, il luogo di esecuzione della prestazione contrattuale si ritiene che si possa identificare con quello in cui si trova la Cassa di compensazione e garanzia. Per motivi pratici, è meglio che i detentori di valute virtuali le indichino nell’RW. Infatti, in base all’articolo 1, comma 1 del Dl 167/1990, accade che gli intermediari e i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale (ossia di servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da o in valute con corso legale), che intervengono nei trasferimenti da o verso l’estero di mezzi di pagamento, nell’ambito dell’attività di conversione di valute virtuali in valute aventi corso forzoso e viceversa trasmettono alle Entrate i dati acquisti nell’ambito degli adempimenti antiriciclaggio. Anche le banche provvederanno al monitoraggio dei bonifici da e verso l’estero se il contribuente si avvale di provider non residenti. La mancata compilazione del quadro RW potrà quindi far emergere un’anomalia con conseguenti approfondimenti dell’Agenzia.
di Maurizio Dattilo e Stefania Barsalini
*articolo pubblicato su Italiaoggi il 22 ottobre 2018