MICCOLI : L’ITALIA NON E’ UN PAESE PER BITCOIN MA…*

Miccoli (Conio): ‘L’Italia non è un paese per bitcoin. Ma si può migliorare se le banche lo capiscono’

L’Italia, parafrasando il titolo di un noto film, non è un paese per monete virtuali come il bitcoin, ma dovrebbe e potrebbe diventarlo. Ne è convinto Christian Miccoli, alla guida di Conio, startup del fintech da lui cofondata insieme con Vincenzo Di Nicola che si occupa proprio di fornire a privati e aziende prodotti e soluzioni per comprare e vendere bitcoin. 

“In Italia – racconta Miccoli – esistono fondamentalmente due principali problemi per chi vuole comprare e vendere oppure investire su monete virtuali. Il primo è che di fatto Bankitalia ha spaventato le banche. E queste ultime, nel caso in cui un cliente faccia un bonifico a una piattaforma di valute virtuali proprio per comprarne un po’, effettuano immediatamente la segnalazione di operazione sospetta all’Uif”, 

l’Unità di informazione finanziaria istituita presso Bankitalia.

“In secondo luogo – chiarisce Miccoli – nel 2016, rispondendo al nostro primo interpello sulla questione, l’Agenzia delle entrate aveva assunto una posizione ufficiale secondo cui per i privati l’investimento in bitcoin è esentasse(si pensi a eventuali plusvalenze, ndr). Poi però, seppure senza prendere una posizione ufficiale come nel 2016, l’Agenzia ha fatto un passo indietro, rispondendo ad alcuni interpelli e spiegando che il cliente con oltre 50mila euro di bitcoin deve pagare le tasse, ossia il 26% sull’eventuale plusvalenza, e in ogni caso l’investimento dovrebbe essere segnalato nel quadro Rw della dichiarazione dei redditi”.

Proprio qui sorge un nuovo problema, “perché la blockchain, ossia il registro pubblico su cui si basa la rete bitcoin, è distribuito, diffuso, motivo per cui non è possibile indicare nel quadro Rw un determinato paese e non è neppure possibile segnalare l’acquisto di criptomonete perché banalmente nel modulo non c’è un codice corrispondente”. Insomma, l’investimento in Italia in bitcoin e moneta virtuale sembra essere ostacolato da tutta una serie di automatismi, come la segnalazione di operazione sospetta, e leggi poco chiare, come quella sulle tasse, che certamente non lo rendono allettante.

Eppure, a detta di Miccoli, se le banche, anziché apparire spaventate dal bitcoin, riuscissero ad aggiungere ai loro servizi la compravendita di valuta virtuale potrebbero aumentare i loro clienti.

 “Così è accaduto all’inglese Revolut – nota il numero uno di Conio – non appena ha aggiunto ai propri servizi l’offerta di bitcoin. È chiaro che la prima cosa che fa una persona che vuole investire in bitcoin è chiamare la propria banca per farlo. Non c’è quindi motivo per cui le banche non debbano sfruttare questa opportunità. È vero che questo settore non è regolamentato ma siamo davanti a un processo irreversibile, come lo fu Internet 20 anni fa, e si potrebbero offrire ai clienti bitcoin allo stesso modo in cui oggi ci sono banche che vendono televisori”.

Del resto, è convinto Miccoli, le nuove tecnologie del fintech, nel giro di pochi anni, cambieranno completamente il mondo della finanza così come lo conosciamo oggi.

“Nel tempo – spiega il cofondatore di Conio – si sono succedute alcune importanti innovazioni. In un primo momento, infatti, sono nate le valute virtuali. Poi l’anno scorso è stata la volta delle Ico”,

ossia Initial coin offering, operazioni che in sostanza permettono a una startup di finanziarsi offrendo valuta virtuale agli investitori.

“Le Ico – aggiunge Miccoli – hanno avuto un successo clamoroso. La terza ondata di innovazione finanziaria, ora in corso, riguarda le cosiddette stable coin: in pratica, in cambio di denaro, ipotizziamo 1 euro, si riceve un token che può essere spostato e trasferito in maniera più sicura. La sicurezza di questo strumento dipende da chi ne garantisce la conversione. In generale, il token facilita gli scambi. Per esempio, potrebbe essere di aiuto nel caso in cui si avesse necessità di inviare del denaro in Cina”.

“La novità del momento – fa sapere Miccoli – è che negli ultimi due mesi gli Stati Uniti hanno autorizzato a emettere stable coin due società: Circle e Gemini”,

 quest’ultima dei fratelli Winklevoss, coloro cioè che sono diventati famosi per avere raggiunto un accordo legale con Mark Zuckerberg di Facebook dopo averlo accusato di avere rubato loro l’idea del social network

“Questo significa – chiarisce il cofondatore di Conio – che queste due società sono state di fatto autorizzate a creare moneta e che tale attività non è più prerogativa delle sole banche. Tra l’altro, Circle ha manifestato la volontà di lanciare un token in euro: se accadrà, avremo una società americana che verrà a creare moneta in Europa. Insomma, da un lato si assiste a un certo dinamismo degli Stati Uniti e dall’altro c’è l’Europa, e l’Italia in particolare, che tira i remi in barca. Eppure quella delle nuove tecnologie applicate alla finanza è una partita importante, che si giocherà nei prossimi due o tre anni”.

In Italia soprattutto, negli ultimi mesi, le monete virtuali e il bitcoin sono state additate come strumenti che prestano il fianco a traffici e operazioni illegali come il riciclaggio di denaro.

 “A causa dell’anonimato che garantiscono ai loro detentori – scrive Bankitalia nel Rapporto sulla stabilità finanziaria dello scorso aprile – sono utilizzate anche per fini illegali, tra cui il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo”.

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*articolo pubblicato su BUSINESS INSIDER  del 12 novembre 2018