LA VOLTA BUONA PER UNA DISCIPLINA FISCALE DELLE CRIPTO-ATTIVITÀ?

Trapela la prima bozza del testo di Manovra 2023 varato dal CdM, che riporta la data del 23 novembre, ed è finalmente possibile analizzare le disposizioni fiscali in materia di cripto-attività che potrebbero presto essere introdotte:

 

  • Tassazione di plusvalenze e proventi derivanti da cripto-attività con aliquota del 26%. (franchigia per plusvalenze e proventi complessivamente inferiori a 2.000 euro nell’anno). “Saltaperò la franchigia dei 51.645,69 euro e dunque le plusvalenze e gli altri proventi diventano tassabili a prescindere da quante cripto-attività si possiedano. Al suo posto viene introdotta una diversa franchigia, con approccio del tutto differente, non legato alla quantità di cripto-attività possedute ma all’ammontare di plusvalenze e proventi realizzati: tassati solo se complessivamente superiori a 2.000 euro nel periodo d’imposta.

 

  • Irrilevanza fiscale delle operazioni crypto-to-crypto, ma solo se le cripto-attività hanno medesime caratteristiche e funzioni. Davvero troppa incertezza su questo aspetto. L’aggettivo “medesime” rende sostanzialmente vana la previsione. Ma anche se si intendesse “analoghe” caratteristiche e funzioni, la previsione non funzionerebbe, perché già soltanto tra le oltre 17.000 criptovalute esistenti, moltissime non presentano caratteristiche e funzioni analoghe alle altre; e certo non si può lasciare al giudizio discrezionale dell’interprete, stabilire la presunta somiglianza tra cripto-attività. Se l’intento era di tracciare una linea di demarcazione tra criptovalute e Non-Fungible-Token (NFT), meglio sarebbe stato seguire l’impostazione della bozza di regolamento MiCA (“crypto-assets that are unique and not fungible with other crypto-assets”).

 

  • Tassazione al 26% anche degli “altri proventi realizzati mediante … detenzione di cripto-attività”. Il termine “detenzione” sembrerebbe voler evocare fattispecie di staking, yield-farming, savings, ecc., che vengono quindi portate nei redditi diversi ad aliquota 26%, invece che nei redditi di capitale ad aliquota IRPEF marginale come aveva affermato finora l’Agenzia delle entrate.

 

  • Possibilità di optare, per le cripto-attività possedute per il tramite di un intermediario italiano, per il regime del risparmio amministrato o del risparmio gestito, cioè per l’applicazione delle imposte da parte dell’intermediario stesso. Gli operatori su valute virtuali (lettere i e i-bis) vengono espressamente inclusi tra i soggetti che possono applicare dette imposte in relazione alle cripto-attività (cosa ad oggi non possibile; questo comporterà anche l’esenzione da quadro RW per le cripto-attività possedute tramite operatori italiani su valute virtuali, come vedremo più avanti).

 

  • Obblighi di comunicazione all’Agenzia delle Entrate imposti agli operatori italiani su valute virtuali, analoghi a quelli imposti alle banche. Un aggravio di compliance non di poco conto, ma inevitabile se gli operatori italiani applicano le imposte sostitutive ed esonerano dal quadro RW.

 

  • Quadro RW confermato per le cripto-attività, senza nessuna soglia minima (la soglia minima dei 15.000 euro, valida per i conti correnti esteri, non viene estesa alle cripto-attività). Non viene tuttavia chiarito il criterio di valorizzazione (costo o valore di mercato?). L’eventuale applicazione delle imposte da parte degli operatori italiani su valute virtuali, tuttavia, comporta l’esclusione dal quadro RW delle attività possedute per loro tramite.

 

  • Possibilità di rivalutazione del valore fiscale delle cripto-attività possedute al 1° gennaio 2023, dietro pagamento di un’imposta sostitutiva del 14%. La cattiva notizia è che la rivalutazione può essere fatta al valore che le cripto-attività avranno al 1° gennaio 2023 (quasi certamente non alto come quello che avevano al 1° gennaio 2022). Questa rivalutazione incide sulle eventuali plusvalenze realizzate dal 2023 in avanti: invece di computare “corrispettivo – costo di acquisto” sarà possibile computare “corrispettivo – valore rivalutato” per calcolare le plusvalenze tassabili dal 2023 in avanti e, quindi, ridurre l’ammontare che sarà assoggettato a tassazione con aliquota del 26%, pagando tuttavia subito una imposta del 14% (sul valore però, non sulla plusvalenza).

 

  • Possibilità di regolarizzazione delle cripto-attività per gli anni fino al 2021 incluso, “fermo restando la dimostrazione della liceità della provenienza delle somme investite”. 0,5% all’anno sul valore delle cripto-attività non debitamente dichiarate, più un 3,5% sul medesimo valore per ogni anno in cui avessero prodotto redditi tassabili. Non è chiaro però su quale valore debbano essere applicate tali percentuali (costo o valore di mercato?) e non viene precisato se l’operatività crypto-to-crypto sia da considerarsi fiscalmente irrilevante anche per il passato, né come trattare i proventi da staking, yield farming, ecc. Questa regolarizzazione incide sulle vicende del passato, al contrario di quella della rivalutazione che, come visto sopra, incide sulle vicende del futuro.

 

  • Introdotta una mini imposta patrimoniale sulle cripto-attività, sotto forma di imposta di bollo (per le cripto-attività detenute tramite intermediari italiani) o altra imposta (per le cripto-attività non detenute tramite intermediari italiani, da liquidare presumibilmente nello stesso quadro RW). Con aliquota dello 0,2% all’anno, applicabile sul valore delle cripto-attività. Anche qui, però, non viene chiarito il criterio di determinazione di tale valore (costo o valore di mercato?). In generale, si tratta di un aggravio sia in termini di carico fiscale per i contribuenti (ad oggi imposta di bollo e IVAFE non erano dovute sulle cripto-attività), sia in termini di costi di compliance per gli operatori italiani su valute virtuali che dovranno assolvere l’imposta di bollo in maniera virtuale con tutti gli adempimenti connessi.

In sintesi:

  • bene la nuova asset class con aliquota 26% e la possibilità di applicare le imposte da parte degli intermediari italiani, esonerando così dal quadro RW le cripto-attività possedute per loro tramite
  • bene, ma da specificare meglio, l’irrilevanza fiscale delle operazioni crypto-to-crypto
  • non bene la nuova franchigia sui proventi per soli 2.000 euro, con eliminazione della precedente franchigia, sostanzialmente più generosa
  • non del tutto convincente la tassazione dei proventi da detenzione di cripto-attività (staking, yield-farming, ecc.), dato che vengono erogati a loro volta in cripto-attività. Seguendo il principio della irrilevanza crypto-to-crypto, sarebbe stato coerente prevedere la non tassabilità dei proventi da detenzione di cripto-attività, che sarebbero stati poi comunque tassati, in un secondo momento, sotto forma di plusvalenza in caso di cessione
  • non bene una disciplina RW incompleta (nessuna soglia minima e nessun chiarimento sul criterio di valorizzazione da seguire) e la mini patrimoniale dello 0,2% all’anno sulle cripto-attività (aggravio per tutti, contribuenti ed operatori, per un gettito fiscale poi non così rilevante)
  • bene, ma da rivedere, la possibilità di regolarizzazione del passato. In assenza di criteri di valorizzazione (costo o valore di mercato?) e di precisazioni sulla irrilevanza delle operazioni crypto-to-crypto e delle operazioni di staking, yield farming, ecc., la regolarizzazione è sostanzialmente un “terno al lotto” in cui il contribuente è in balia del funzionario dell’Agenzia delle Entrate in cui dovesse incappare
  • bene, ma al momento sbagliato (causa bear market), la possibilità di rivalutazione del valore fiscale delle cripto-attività.

Un plauso all’iniziativa, per la quale si auspicano, però, almeno i seguenti miglioramenti:

  • stabilire la completa irrilevanza fiscale delle operazioni crypto-to-crypto, di qualunque tipo e genere. In alternativa, se l’intento era di tracciare una linea di demarcazione tra criptovalute e NFT, seguire l’impostazione della bozza di regolamento MiCA (“crypto-assets that are unique and not fungible with other crypto-assets”)
  • ripristinare la precedente franchigia di 51.645,69 euro legata alla quantità di cripto-attività che si possiedono. In alternativa, innalzare la franchigia di non imponibilità delle plusvalenze e dei proventi ad almeno 10.000 euro
  • eliminare la tassazione dei proventi da detenzione di cripto-attività (staking, yield-farming, ecc.) per coerenza sistematica rispetto alla non tassabilità delle operazioni crypto-to-crypto, dato che vengono a loro volta erogati sotto forma di cripto-attività. In alternativa, innalzare la franchigia di non imponibilità delle plusvalenze e dei proventi ad almeno 10.000 euro
  • precisare che il criterio di valorizzazione delle cripto-attività nel quadro RW è il costo di acquisto, posto che manca un “mercato regolamentato” in cui le cripto-attività siano negoziate e dunque mancano prezzi ufficiali che possano consentire di utilizzare il valore di mercato. Per gli NFT, peraltro, manca del tutto un qualunque prezzo di mercato, essendo lasciati alla libera negoziazione tra singoli
  • eliminare la mini patrimoniale dello 0,2% all’anno sulle cripto-attività. È un aggravio per i contribuenti, ingiustificato perché non coerente con la ratio dell’imposta di bollo e dell’IVAFE, ed è un aggravio per gli operatori italiani in quanto genera alti costi di compliance ed uno svantaggio competitivo rispetto agli operatori esteri, a fronte di un gettito fiscale non così rilevante. In alternativa, precisare che il criterio di valorizzazione delle cripto-attività nel quadro RW è il costo di acquisto, posto che manca un “mercato regolamentato” in cui le cripto-attività siano negoziate e dunque mancano prezzi ufficiali che possano consentire di utilizzare il valore di mercato
  • quanto alla regolarizzazione del passato, precisare che il criterio di riferimento per determinare il valore delle cripto-attività, sul quale applicare le percentuali dello 0,5% e 3,5%, è il costo di acquisto, posto che manca un “mercato regolamentato” in cui le cripto-attività siano negoziate. Precisare inoltre l’irrilevanza delle operazioni crypto-to-crypto e delle operazioni di staking, yield farming, ecc. e che, pertanto, l’imposta del 3,5% è dovuta soltanto laddove i contribuenti abbiano effettuato cessioni a titolo oneroso a fronte di valuta tradizionale e sopra la franchigia dei 51.645,69 euro

Dott. Francesco Avella